Francesca Grossi.
"Il mio è il ritorno a casa."

Fin da bambina ho tenuto dentro di me questo mondo, l’ho sempre custodito come qualcosa di unico e di prezioso. Mi riferisco a Tenuta Villanova, agli odori della terra, ai profumi della campagna e dell’uva nei giorni di vendemmia, ma anche alle voci, ai gesti e agli sguardi delle persone che, da piccola, vedevo vivere e lavorare qui. Un sentire che mi ha sempre accompagnato, dovunque mi trovassi. Fresca di laurea in giurisprudenza dopo una formazione classica, mi ero immersa in un mondo completamente diverso: ho quindi vissuto la gran parte della mia vita lavorativa a Bologna, nei silenzi compassati degli studi notarili dove sono maturata e cresciuta professionalmente. Eppure, immaginando un “ritorno a casa”, senza sapere bene come e quando. Una cosa che certamente mi porto nel dna è la “composizione del bene comune”, un tratto che la lunga pratica notarile ha ulteriormente rinforzato in me. Forse il ritorno e la composizione sono in quel disegno che già da bambina intravedevo senza capire: ora il quadro è chiaro, e dentro la composizione del quadro ritrovo, come un oggetto prezioso, il testimone lasciatomi dalle donne che mi hanno preceduto. Donne del vino, ‘che non è mai facile muoversi a proprio agio in un mondo fondamentalmente maschile’ quando non maschilista. Ma io sono pragmatica, un notaio non grida, riflette e valuta. Io sciolgo nodi, guardo i dati. Di norma, vado fino in fondo e non trascuro particolari che ad altri magari sfuggono. Rieccomi a casa.

"Le donne che io sono."

Mia nonna Ida. Nata nel 1899, dirigeva una fabbrica dove si allevavano i bachi da seta ma, fin da ragazza, aveva vissuto i tempi duri. I suoi amici erano i “ragazzi del ’99”, quelli spazzati via dalla prima Grande Guerra, dalle sconfitte sul fronte, dalla disfatta di Caporetto. Una generazione falciata dalla Storia. Lei, una vita complessa e travagliata, era poi dovuta sfollare a Napoli proprio nel periodo della febbre spagnola, la peste degli anni Venti, l’inizio infelice dei Trenta.
A volte mi dico: ma perché il tempo ci porta lontano?
E poi mia zia, che ho la fortuna di avere ancora accanto. È lei, Giuseppina Grossi Bennati, che ha tenuto le redini di Tenuta Villanova per una vita intera, anche dopo la scomparsa del marito Arnaldo. Sono passati oltre ottant’anni dalla loro acquisizione della Tenuta nel 1932. Questi 180 ettari di terra sono ancora qui, metà dei quali coltivati a vigneto, a cesellare la pianura e la collina come un merletto goriziano. Potere della cura, dono dell’attenzione.
Fin dal 1499 ne erano stati affittuari gli Strassoldo: cinque secoli di storia a conferma che qui, in questi “antichi mansi” a cavallo fra le attuali DOC Collio e Isonzo, la vite è stata coltivata da epoche remote. Gli stessi Strassoldo, del resto, avevano ricevuto le terre “dalle mani” di Aquileia, attraverso documenti manoscritti in lingua latina. Ma la mole di testimonianze scritte che abbiamo nel nostro archivio è animata da una sottotraccia che si snoda nel tempo e nobilita questo terroir: ancora nel 1836 si raccomandava di “estirpare le viti di inferiore qualità” qui, nella Tenuta.

"La responsabilità storica, e un tocco femminile"

Forse sono una donna del Rinascimento: amo quel momento storico in cui il gesto umano ha dato nuova forma alle cose e alla natura. Mi affascina tutto quello che è frutto di dedizione, cura e passione: penso in primis che la gestione di un’azienda come Tenuta Villanova richieda senso di responsabilità storica. Oggi puntiamo ad una cura artigianale che via via si faccia arte.
Ci vuole tempo: se vuoi raggiungere l’eccellenza devi lavorarci e avere anche immaginazione, non ci sono scorciatoie. La perseveranza, in questo, aiuta. Ma se guardiamo indietro, l’analisi dei documenti che abiamo conservato rivela esempi davvero illuminanti: nel 1868 l’allora proprietario della Tenuta Alberto Levi ospitò il celebre Louis Pasteur e lo studioso, dopo varie tappe in Friuli, affermò che “i vini di Tenuta Villanova non sono affatto inferiori a quelli francesi”; anche il Dalmasso, considerato tutt’ora uno dei padri fondatori dell’enologia e della moderna viticoltura ci lasciò la sua autorevole conferma: stesso responso. Il progetto di rebranding che abbiamo recentemente avviato evidenzia che il “rinascimento” di Tenuta Villanova è già in corso, e i fatti ci stanno dando ragione.
In questa mia avventura e in questa sfida mi accompagna mio fratello Alberto, da anni memoria preziosa in azienda: ha scelto di affidarmi la guida strategica, la visione e la gestione aziendale e ora, con i miei collaboratori, stiamo lavorando su più piani per dedicare a Tenuta Villanova e a questo prezioso terroir tutta la cura che si meritano. Con un “tocco femminile” in più: il mio.
Benvenuti a Tenuta Villanova.

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